é uscito il nuovo numero doppio di Wise Baby rivista della società di psicoterapia e psicoanalisi SIPeP-SF

marzo 19, 2021
E’ uscito il numero doppio della rivista Wise Baby (di cui sono Associate Editor) della Società Italiana di Psicoterapia e Psicoanalisi SIPEP-SF. E’ un numero molto bello e molto ricco, grazie alle tante persone che ci hanno lavorato,
ecco l’editoriale:
Questo numero doppio 2020 presenta motivi di particolare interesse perché con- tiene, nella sezione “Documenti”, la prima pubblicazione mondiale di materiali fondamentali per la storia della psicoanalisi, materiali che fanno parte dei Freud Papers conservati presso la Library of Congress di Washington. Si tratta delle interviste a Clara Thompson e a Elizabeth Severn raccolte nel 1952 da Kurt Eissler. La loro pubblicazione è per questa rivista un grande privilegio per il quale dobbiamo ringra- ziare il dott. Louis Rose, direttore dei Freud Archives, che ci ha concesso di darne alle stampe la traduzione in italiano.
Kurt R. Eissler, MD (1908-1999), era nato a Vienna, dove studiò psicologia e medicina. Nel 1938 divenne membro della Società psicoanalitica di Vienna e poco dopo, per sfuggire alla occupazione nazista, emigrò negli USA con la moglie Ruth Eissler-Elke. Dopo la guerra entrambi divennero membri della Società e dell’Istituto psicoanalitico di New York.
Nel 1951 Eissler stabilì gli Archivi Freud con il sostegno, inizialmente timido e poi sempre più convinto, di Anna Freud. Il padre aveva espresso nel suo testamento il desiderio che tutti i documenti privati venissero distrutti. Il progetto mirava invece non solo alla loro conservazione ma anzi ad ampliarli sollecitando donazioni di lettere e altri documenti da privati. L’accordo pattuito con la Library of Congress di Washington, D.C., era che essa avrebbero gestito tutto questo materiale mettendolo a disposizione degli studiosi. Gli Archivi Freud, in quanto donatori, avevano anche il diritto di porre restrizioni alla consultazione dei singoli documenti per ragioni di tutela della confidenzialità e della privacy, ciò che nel tempo non ha mancato di suscitare forti polemiche.1 Nel sito ufficiale (http://www.freudarchives.org/) si legge che gli Archivi Freud hanno raccolto e preservato le maggiori e più ampie collezioni di manoscritti, papers, corrispondenze e materiali biografici della vita e del lavoro di Sigmund Freud e li hanno resi accessibili a lettori e ricercatori di tutto il mondo.
Da alcuni anni è inoltre iniziato un imponente lavoro di digitalizzazione dei Sig- mund Freud Papers, molti dei quali sono già consultabili online attraverso il sito del- la Library of Congress (https://www.loc.gov/collections/sigmund-freud-papers/ about-this-collection/).
Negli anni 1950 Kurt Eissler intervistò molte persone che erano stato in con- tatto con Freud, come membri della famiglia Freud (Anna Freud Bernays, Anna Freud, Ernestine Drucker Freud, Harry Freud, Oliver Freud, Judith Bernays Heller), seguaci famosi (fra cui Franz Alexander, Ludwig Binswanger, Felix Deutsch, Max Graf, Eduard Hitschmann, Edith Banfield Jackson, Ludwig Jekels, C. G. Jung, Oskar Pfister, Theodor Reik, Joan Riviere, Philipp Sarasin, Hermann Swoboda, Edoar- do Weiss, ecc.) e pazienti, fra cui Albrecht Hirst (il nipote di Emma Eckstein) e Sergius (o Sergej) Pankejeff, il più famoso paziente di Freud, noto come “l’uomo dei lupi”. Sotto la voce “Interviews and Recollections, 1914-1998”, un crescente numero di trascrizioni di queste interviste sono incluse tra i documenti digitalizzati e accessibili online. Fra di essi vi sono anche le interviste a Elisabeth Severn e Clara Thompson qui pubblicate. Per chi desiderasse leggerne direttamente il testo inglese, la copia fotostatica dell’originale trascrizione dattilografata (e, nel caso dell’intervista alla Severn, anche corretto a mano) è disponibile la visione attraverso i link https://www.loc.gov/item/mss3999001567/ (Severn) e https://www.loc.gov/item/ mss3999001575/ (Thompson).
II
Le interviste vennero fatte nel 1952, un anno dopo l’istituzione degli Archivi, e sono fra le prime raccolte, come si nota anche dal fatto che Eissler cerca di avere informazioni su chi altri era stato in contatto con Freud, per raccogliere documenti e ampliare il numero delle interviste. Kurt Eissler era Viennese, aveva lavorato con August Aichhorn, amico intimo di Anna Freud, e si era formato nella Società psi- coanalitica di Vienna, ma non aveva mai avuto l’opportunità di incontrare Freud. Nelle interviste è sorpreso della facilità con cui la Thompson e soprattutto la Severn, avevano potuto incontrarlo; lo si direbbe persino stupito di questo privilegio che a lui era stato negato. È anche evidente che sapeva molto poco di Ferenczi, se non della sua grande vicinanza a Freud e del contrasto che si era creato negli ultimi anni, anche se non gliene erano chiare le ragioni. Anche della sua malattia sapeva molto poco e certamente non lo considerava un eretico. Sarà soltanto cinque anni dopo, nel 1957, che uscirà il terzo volume di Ernest Jones sulla vita e l’opera di Freud (1953- 1957), in cui Ferenczi è qualificato come un eretico, il cui allontanamento da Freud era dovuto a una grave e progressiva malattia mentale che si era riflessa nel carattere patologico dei suoi ultimi scritti. Si deve capire che tutto ciò arrivò come un fulmine a ciel sereno; la pubblicazione in inglese delle opere di Ferenczi aveva continuato ad avanzare fino al volume dei Final Contributions, uscito nel 1955. Se Eissler avesse fatto queste interviste cinque anni dopo, forse non avrebbe avuto lo stesso atteggiamento di deferenza verso la Thompson e la Severn, le quali erano state vicine a Ferenczi fino all’ultimo, la prima, e fino a due mesi prima la seconda.
Nel 1957 entrambe furono contattate da Erich Fromm che, con l’assistenza di Izette de Forest, raccolse dalle persone che erano rimaste vicino a Ferenczi durante l’ultimo anno di vita una serie di testimonianze scritte per controbattere alle calunnie di Jones e confutarne la diagnosi, ciò che avvenne con un articolo sferzante uscito nel 1958, “Freud, Friends, and Feuds”. In tale contesto la Severn gli scrisse: “Fino a 2 mesi prima della morte, quando dovetti lasciare Budapest e ritornare a New York, egli [Ferenczi] era in pieno possesso delle sue facoltà e non c’era alcun segno di un qualsiasi squilibrio mentale” (Severn a Fromm, 29.11.1957). La testimonianza resa da Clara Thompson (lettera a Fromm del 5.11.1957), che aveva un valore speciale in quanto “medica”, è in linea con quanto racconta nella intervista con Eissler qui pubblicata, e che poi ribadirà in una lettera di protesta al The New York Times del 26 novembre 1957.
Al tempo dell’ultima malattia di Ferenczi vivevo a Budapest e sono stata nelle condizioni di visitarlo quasi tutti i giorni fino alla sua morte. Posso assicurarvi che non ha mai mostrato nessun comportamento che potesse essere definito come pazzo, a parte rari momenti di lieve confusione che si riscontrano comunemente in persone affette da malattie senza più speranza. Certamente non ha mai mostrato alcun segno di attività maniacale o omicida, né ho mai avuto sentore di tutto ciò fino alla pubblicazione del libro di Jones. Da allora molti lettori hanno accettato questa dichiarazione come un dato di fatto.
Erich Fromm, che aveva conosciuto Ferenczi al sanatorio di Groddeck, gli era molto vicino; non a caso alcune delle pazienti di Ferenczi, dopo la sua morte, con- tinueranno l’analisi con Fromm, come la stessa Clara Thompson e Izette de Forest.
Come tutti gli ebrei che erano stati forzati a dimettersi dalla Società psicoanalitica tedesca, Fromm era stato inizialmente accolto sotto l’ombrello dell’International Psychoanalytic Association (IPA), di cui era diventato membro “at-large”. Ma nel 1953 il suo nome venne tolto dalla lista, senza che gli venisse notificato che la sua appartenenza all’IPA era terminata. Per alcuni anni cercò di mantenere la sua affilia- zione, decaduta per motivi burocratici, fino a che rinunciò alla sua battaglia quando la moglie di Eissler, Ruth Eissler-Elke, già segretaria degli Archivi Freud, divenne vi- cepresidente dell’IPA (dal 1957 al 1959).2 Questo per accennare al contesto generale, meglio descritto da uno di noi (Bonomi, 1999).
III
Il fatto che Eissler abbia dedicato parte della sua monumentale indagine alla ricerca di testimonianze capaci di ripercorrere gli anni pionieristici della Psicoanalisi evidenzia la duplice natura di un compito per alcuni versi coraggioso e per altri “impossibile”. Se, come riferisce, alla domanda rivoltagli da Elizabeth Severn su “quanto avesse collaborato Anna Freud” rispose essersi trattato di una “neutralità amichevole”, ciò è sufficiente a rappresentare il grado di idiosincrasia che, nella fa- miglia Freud -nel padre come nella figlia- ci fu per le biografie personali, ricordando in ciò il rapporto tumultuoso che la stessa Freud ebbe con un altro “detective” della storia della psicoanalisi, Paul Roazen.
Lo studioso, fu ritenuto “colpevole” e pertanto ostracizzato per aver scoperto e pubblicamente rivelato che lei stessa era stata analizzata dal padre (Roazen 2001, p. 79) e che il fratello di lei, Martin, aveva avuto una storia d’amore con una paziente del padre, Edith Jackson (ibid. p. 86). Secondo lo stesso Roazen, Anna aveva lavorato molto “behind the scenes” per impedire la pubblicazione del suo libro “Fratello animale” (1969), nel quale l’autore aveva raccontato la storia dei rapporti fra Freud e Victor Tausk, conclusasi tragicamente con il suicidio di quest’ultimo.
Con l’unica eccezione della biografia “autorizzata” di Jones, l’indagine storica era, insomma, materia scottante che poteva alienare in misura definitiva le simpatie della legittima erede del Fondatore. Così Eissler si trovò posto dinanzi alla necessità di mediare tra la propria curiosità storica e i vincoli imposti da una politica della psi- coanalisi rigidamente controllata da Anna Freud.3
Per molti anni, Eissler non chiese alla Freud assolutamente nulla fino al momento in cui le presentò un giovane professore di Sanscrito, Jeffrey Moussajeff Masson, da poco diventato analista, avendo in mente di farne il proprio successore alla guida de- gli Archives. La prima reazione di Anna Freud di fronte a quel giovane fu di estrema diffidenza; ma poi finì per essere conquistata dal suo entusiasmo giovanile. Una volta entrato in casa Freud e venuto a contatto con quell’enorme quantitativo di materiale a disposizione, Masson iniziò a leggere l’intera corrispondenza tra Freud e Fliess, rendendosi rapidamente conto che, dalla versione ridotta pubblicata da Anna Freud, Marie Bonaparte ed Ernst Kris (1954), erano state espunte tutte le parti relative alla teoria della seduzione nelle quali Freud esponeva all’amico sia le proprie opinioni sia le esperienze cliniche ottenute. Masson cercò di indagare sul perché di tali censure, sia parlandone direttamente con Anna Freud, sia affrontando l’argomento con colle- ghi in vari gruppi e seminari, sempre incontrando un’accoglienza fredda e ostile. “Da parte mia”, scrive nell’introduzione al suo libro Assalto alla Verità (1984), “ritenevo che tali passaggi [i brani censurati, NdC] avessero una grande importanza storica … e che nessuno avesse il diritto di decidere per gli altri, alterando i documenti, quale fosse la verità e quale l’errore” (Masson, 1984, pp. 9-10).
Fra i documenti sui quali era sceso il silenzio, Masson scoprì anche la corrispon- denza di Freud del 1932 relativa all’ultimo contributo di Ferenczi, Confusione di lingue fra gli adulti e il bambino, il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione (1933), anch’esso centrato sul problema dell’abuso sessuale infantile. Anche a proposito di questo argomento, Masson fu insistentemente invitato a dirigere altrove la propria curiosità. Nel giugno 1981, a Masson fu chiesto di presentare la conclusione del- le proprie indagini in una relazione alla Western New England Psychoanalytic Society di New Haven, dove lesse The seduction hypothesis in the light of new documents, ottenendo molta attenzione da parte dei partecipanti; e tuttavia, scrive, “ciò che veniva messo in discussione non era la verità o la falsità della mia indagine, ma solo l’opportunità di far conoscere tale materiale al pubblico” (ibid., p. 14). Profondamente indignato dall’idea che i crimini di violenza sessuale potessero essere attribuiti all’immaginazione della vittima4, punto di vista sostenuto da Abraham e caldamente appoggiato da Freud, Masson commise l’imperdonabile errore di affidare le proprie idee alla stam- pa: nell’agosto del 1981, il New York Times riferì in un articolo i contenuti delle sue scoperte, e ciò comportò l’immediato licenziamento di Masson dagli Archives. Da qui nacque il libro Assalto alla Verità, del 1984, a cui fece seguito, l’anno successivo, la pubblicazione in versione integrale della Corrispondenza Freud-Fliess, fatti che contribuirono alla definitiva espulsione di Masson da ogni organizzazione psicoanalitica, locale e internazionale.
Un tale cataclisma e l’essersi fatto “sedurre” da Masson, mise Eissler in grave diffi- coltà, al punto da essere costretto a rassegnare le dimissioni da direttore degli Archivi Freud, proprio lui che aveva speso la vita a difendere la figura di Freud dai nemici! Da allora incessantemente cercò di controbattere alle tesi di Masson e di frenare il proces- so di rivalutazione della teoria della seduzione con una lunga serie di articoli e due libri (Eissler, 1994, 1999). Poiché Masson aveva anche riscosso dall’oblio l’ultimo Ferenczi, che iniziava a ritrovare un posto nella memoria collettiva degli psicoanalisti grazie alla pubblicazione del Diario Clinico, Eissler probabilmente rimpianse l’occasione perduta con Elizabeth Severn, perché incominciò a “corteggiarne” la figlia, Margaret, “con continue telefonate da New York, inviandole cartoline, fiori e cioccolatini allo scopo di conquistarne la fiducia. Attraverso la sua corrispondenza sperava di scoprire maggiori dettagli sull’infanzia di Elizabeth Severn e di raccogliere informazioni da impiegare per confutare (2001) le affermazioni di Masson” (Fortune, 2015, p. 21), come abbiamo raccontato nel primo numero di questa rivista, dedicato alla Severn. A tale scopo Eissler giunse persino a tentare di convincere l’ormai ottantacinquenne Margaret, allora residente a Vancouver, a recarsi a New York per entrare in analisi con lui, senza peraltro riuscire nell’intento. Ma, riguardo all’intervista da lui fatta alla Severn nel 1952, egli pretese che fosse mantenuta riservata fino al 2017, forse perché troppo poco utile a confermare il discredito di cui Ferenczi era stato circondato per tanto tempo.
Le due interviste di Eissler, qui pubblicate per la prima volta, sono seguite da una breve nota di Gianni Guasto intitolata Ferenczi, Clara Thompson, e la “tecnica del bacio”: Una doverosa precisazione. Per quasi un secolo l’argomento calun- nioso che Ferenczi “baciasse” le sue pazienti, è stato infatti utilizzato per squalificarlo agli occhi della comunità psicoanalitica, ma i documenti ci raccontano un’altra storia.
IV
Questo numero doppio contiene anche una serie di articoli di grande interesse. Li abbiamo suddivisi in due categorie, Clinica e Teoria, pur sapendo bene che i confini sono labili e le sovrapposizioni ampie. Sono tutti articoli originali, meno il primo, Il Monkey Puzzle Boy. Estratto di una analisi, che è già stato pubblicato in inglese sull’International Forum of Psychoanalysis, rivista anch’essa affiliata all’Internatio- nal Sándor Ferenczi Network. È un lavoro che ci è caro e familiare perché il suo autore, Fergal Brady, presidente della Società psicoanalitica irlandese, ha incominciato a lavorarci nel Summer course Ferenczi a Firenze, organizzato nell’estate del 2017. È stato presentato al congresso internazionale Ferenczi che si è tenuto a Firenze nel maggio del 2018, e poi profondamente rielaborato. Ciò che colpisce in questo testo è la preminenza di una dimensione performativa che polverizza i canoni di redazione del “caso clinico” in cui la verità è piegata alle esigenze narrative. La complicata costruzione di questo testo, che si fa e disfa sotto i nostri occhi, non è più una me- ditazione sull’analisi, ma è l’analisi stessa, come dice il suo autore, o meglio, il suo co-autore, perché è il paziente a tessere il discorso, per poi incidervi i suoi tagli, come fosse una tela lacerata di Lucio Fontana. Al centro della tela ritroviamo un paziente che è un artista determinato a fare della sua analisi un’opera d’arte, un analista che abbandona una a una le sue certezze, e un testo letteralmente co-costruito attorno a un puzzle irrisolvibile. Una nuova frontiera della reciprocità?
Il secondo articolo è stato presentato a febbraio di quest’anno in un meeting preparatorio al prossimo congresso internazionale Ferenczi, svoltosi a Lisbona. Con BDSM e regressione al trauma originario nella situazione analitica, l’analista canadese, di origini ungheresi, Endre Koritar, ci trasporta sulla scena kink, mostran- doci i meccanismi elementari della ripetizione, dell’identificazione dei ruoli e dell’in- versione dei ruoli, e infine lasciandoci alcuni utili strumenti teorici tratti dall’insegna- mento ferencziano.
Il terzo articolo, scritto da Gianni Guasto e Rudi Lucini, Cesure primordiali e trapianti adottivi, si confronta con la permanenza del “cattivo introietto” che parla attraverso i vuoti e le discontinuità della memoria autobiografica e i rigetti nei pro- cessi di riaffiliazione. È una meditazione su quello che, dopo André Green, chiamia- mo “il negativo”, ma affrontato in una prospettiva ferencziana che non si adagia nel postulato della pulsione di morte.
L’articolo seguente ci porta in alta montagna. Con Pazienti free solo e il tera- peuta cameraman Vittorio Gonella ci parla dei pazienti che vivono l’analisi come un’impresa solitaria. Lo spunto è dato dal documentario di una scalata in “free solo” ripresa da un cameraman nel cui allarmato senso del pericolo l’autore ha riconosciu- to il proprio controtransfert rispetto a un paziente convinto di “cavarsela da solo”. L’articolo offre anche l’occasione di riprendere l’importante concetto di “filobati- smo” introdotto da Balint e raramente usato, forse per l’infelice scelta lessicale.
L’universo del “negativo” è quindi sapientemente esplorato da Hayuta Gurevich, analista israeliana, a partire da una finestrella apparentemente marginale, una frase enigmatica di Hermann Melville. “Preferirei di no”. Sul respingere l’assenza ci permette di riflettere sulla paradossale impossibilità di respingere ciò che è assente, e ancor più sull’importanza per l’analista di accogliere la necessità evolutiva del pa- ziente di escluderlo. La tesi, decisamente forte, della Gurevich è che solo la capacità molto rudimentale di respingere rende possibile interiorizzare un oggetto buono. Questa prospettiva permette all’autrice anche di riassumere in modo molto efficace il senso del fallimento dell’analisi di Ferenczi con Freud.
Con l’articolo Nuove applicazioni cliniche dell’identificazione con l’aggres- sore, Maurizio Pinato espande la capacità euristica di questo fondamentale concetto ferencziano dal trauma specifico dell’abuso sessuale infantile a una gamma sfumata di situazioni in cui manca un aggressore esterno, ma in cui, ugualmente, si verifica quel cedimento della struttura psichica che determina le condizioni per l’assimila- zione passiva e acritica di contenuti mentali lesivi del Sé. La microanalisi di Pinato è specialmente preziosa perché raccorda la descrizione clinica delle varie fasi del pro- cesso di paura, collasso e vuoto che esitano nell’identificazione con l’aggressore, con i contributi delle neuroscienze alla conoscenza del cervello e del suo funzionamento.
Con l’ultimo articolo, Ferenczi e Bion: Dalla psicoanalisi della reciprocità alla psicoanalisi “quantica” di O, Mauro Manica, psicoanalista SPI e IPA, ritrova e svolge alcuni dei fili che legano fra loro le vite e le opere di questi due autori che hanno rivoluzionato il modo di pensare e praticare la psicoanalisi, incappando en- trambi in accuse di eresia. In particolare evidenzia una forte convergenza attorno ai temi della verità, dell’introiezione e del sogno e nella comune esigenza di una nuova metapsicologia che dia voce e rappresentazione alle figure dell’angoscia traumatica e possa orientare l’azione terapeutica negli abissi da cui Freud si era mantenuto a debi- ta distanza. Qui, proprio nel punto in cui s’incontrano, Ferenczi e Bion si dividono, l’uno attratto dalla reciprocità e l’altro dalla trasformazione in O.
Infine, per la sezione “Recensioni”, una lettura del nuovo libro di Franco Borgogno, Una vita cura una vita. Inizi di una vocazione, è offerta da Andrea Ciacci.
Ringraziamenti
Si ringrazia l’International Forum of Psychoanalysis per aver concesso la pubblicazione della traduzione italiana di Brady, F. (2019). An extract of the analysis of the Monkey Puzzle Boy. International Forum of Psychoanalysis, 28: 212-221.
http://arpaedizioni.it/prodotto/the-wise-baby-il-poppante-saggio-rivista-del-rinascimento-ferencziano-2020-volume-doppio-numero-1-e-2-cesure-e-censure/
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